Ricorso per la Regione Piemonte, in persona della sua Presidente, prof.ssa Mercedes Bresso, legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dal Prof. Roberto Cavallo Perin del Foro di Torino e dal Prof. Alberto Romano del Foro di Roma, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo in Roma, Lungotevere Sanzio n. 1, in forza di procura speciale a margine del presente ricorso per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 15, d.l. 25 settembre 2009, n. 135, convertito in legge con modificazioni dalla l. 20 novembre 2009, n. 166 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana 24 novembre 2009, n. 274, S.O. Fatto 1. La l. 20 novembre 2009, n. 166 ha convertito in legge il d.l. 25 settembre 2009, n. 135 il cui art. 15 modifica ed integra la precedente disciplina di legge statale in materia di servizi pubblici locali (art. 23 bis, d.l. 25 giugno 2008, n. 112, conv. con l. 6 agosto 2008, n. 133) che l'odierna esponente Regione Piemonte aveva impugnato innanzi alla Corte costituzionale con il ricorso in via principale n. 77/08. In particolare con la nuova legge statale (art. 15, co. 1°, lett. b, d.l. n. 135 del 2009, cit.) si e' voluto rafforzare l'ipotesi limite di una disciplina nazionale di «integrale concorrenzialita'» imponendo comunque di rivolgersi al mercato per l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali, anche nella forma della societa' a capitale misto pubblico-privato per la quale s'impone una gara per la scelta del socio privato che abbia ad oggetto «al tempo stesso» la qualita' di socio di capitale in misura minima predefinita (almeno «il 40%» del capitale sociale) ma anche «specifici compiti operativi», chiarendo anche letteralmente «l'eccezionalita'» di ogni diversa forma di affidamento e gestione, in particolare quella cd. in house providing di derivazione europea. Per il servizio idrico integrato l'art. 15, co. 1° ter, d.l. n. 135 del 2009, cit. afferma la necessita' di affidamenti con «autonomia gestionale del soggetto gestore», ferma restando la «piena ed esclusiva proprieta' pubblica delle risorse idriche» e con «governo» delle stesse in capo «alle istituzioni pubbliche», chiamate a garantire - non da oggi - il «diritto alla universalita' ed accessibilita' del servizio» pubblico stesso. L'indicata legge statale giunge addirittura a stabilire un'anticipata cessazione di tutti gli affidamenti in essere di servizi pubblici locali in house providing legittimi perche' conformi alla stessa disciplina europea, assieme agli illegittimi affidamenti in house o ad impresa terza (art. 15, co. 1°, lett. d), d.l. n. 135 del 2009, cit.). La Regione Piemonte ritiene che tali disposizioni di legge statale ledano la propria sfera di competenza legislativa stabilita in Costituzione e pertanto propone ricorso ex art. 127, Cost., per le seguenti ragioni in Diritto 1. Violazione dell'art. 5, art. 114, art. 117, co. 1°, 2°, 4°, 6°, art. 118, art. 97 ed art. 3, Cost.; difetto di tutela della concorrenza; violazione della residua competenza legislativa regionale da parte del d.l. 25 settembre 2009, n. 135, art. 15, co. 1°, lett. b, cosi' come conv. dalla l. 20 novembre 2009, n. 166, che sostituisce l'art. 23 bis, 2°, 3° e 4°, d.l. 25 giugno 2008, n. 112, conv. dalla l. 6 agosto 2008, n. 133, nonche' dell'art. 15, co. 1° ter, d.l. n. 135 del 2009, cit. A) «Il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria: a) a favore di imprenditori o di societa' in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunita' europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicita', efficacia, imparzialita', trasparenza, adeguata pubblicita', non discriminazione, parita' di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalita'; b) a societa' a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a), le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualita' di socio e l'attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento» (art. 15, co. l°, lett. b, d.l. n. 135 del 2009, cit. che cosi' sostituisce l'art. 23 bis, co. 2°, d.l. n. 112 del 2008, cit.). La legge statale qui impugnata soggiunge che l'affidamento diverso da quello «ordinario» - tra cui spicca la forma di gestione denominata in house providing - puo' essere adottato solo «in deroga alle modalita' di affidamento ordinario di cui al comma 2, per situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato», precisando che si deve trattare di affidamento in «favore di societa' a capitale interamente pubblico, partecipata dall'ente locale, che abbia i requisiti richiesti dall'ordinamento comunitario per la gestione cosiddetta «in house» e, comunque, nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla societa' e di prevalenza dell'attivita' svolta dalla stessa con l'ente o gli enti pubblici che la controllano» (art. 15, co. 1°, lett. b), d.l. n. 135 del 2009, cit. che cosi' sostituisce l'art. 23 bis, co. 3°, d.l. n. 112 del 2008, cit.). Il legislatore statale dunque riconosce che le indicate forme di gestione ed affidamento dei servizi pubblici (soggetto scelto con gara, organizzazione in house providing) sono conformi all'ordinamento europeo ed in particolare alla disciplina sulla concorrenza, ma con la norma nazionale giunge sino ad individuare come forma preferenziale «ordinaria» l'affidamento del servizio ad imprese terze con gara o a societa' mista il cui socio privato sia scelto con gara che abbia ad oggetto «al tempo stesso» la qualita' di socio di capitale in misura minima predefinita (almeno «il 40%» del capitale sociale) ma anche «specifici compiti operativi», mentre relega la possibilita' dell'affidamento in house ai soli casi ivi espressi in via d'eccezione, superando con cio' la stessa disciplina comunitaria in materia di concorrenza, nonostante che la stessa abbia creato l'istituto giuridico dell'in house providing come senz'altro compatibile con l'ordinamento comunitario ed i suoi principi. In tal senso non vale ricordare che in un caso si e' ritenuto che taluna legislazione nazionale in materia di tutela dell'ambiente abbia potuto individuare misure piu' rigorose di quelle previste dal diritto comunitario, poiche' cio' e' stato possibile nei soli limiti di un rispetto del principio di proporzionalita' con altre disposizioni del Trattato (Corte di Giustizia Ce, 14 aprile 2005, in causa C-6/03, Deponiezweckverband Eiterköpfe c. Land Rheinland-Pfalz) tra le quali assume particolare importanza la disciplina a tutela della concorrenza. B) La potesta' legislativa in Italia si esercita «nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario» (art. 117, co. 1°, Cost.), in particolare il vincolo si afferma anche nell'esercizio della potesta' statale esclusiva in materia di «tutela della concorrenza» (art. 117, co. 2°, lett. e), Cost.), anzi e' proprio con riferimento alla regolamentazione del mercato unico europeo che la legislazione statale italiana non puo' che configurarsi in attuazione della disciplina europea. Il mercato unico europeo infatti e' concettualmente possibile e concretamente si e' affermato solo riconoscendo un'unitaria disciplina da parte dell'Unione europea, che deve trovare attuazione negli Stati membri attraverso norme di principio o di dettaglio, siano esse del Trattato o piu' di frequente in norme di regolamento o di direttive comunitarie, con conseguente impossibilita' per gli Stati membri d'introdurre legislazioni ispirate da un indirizzo politico nazionale e percio' differenziate tra gli Stati membri, neppure configurando l'ipotesi limite di una disciplina nazionale di «integrale o totale concorrenzialita'». Non appare infatti possibile confondere il principio di concorrenza posto dal Trattato dell'Unione europea, che disciplina i comportamenti delle amministrazioni pubbliche una volta che abbiano deciso di rivolgersi al mercato delle imprese, con l'idea di prevalenza o preferenza per il mercato nell'organizzazione dei servizi pubblici indicata dalla disciplina statale in esame, nella quale l'in house providing e' configurata come un residuo negletto o un cattivo surrogato. Questa configurazione offusca, sovvertendolo, il principio di liberta' degli individui o di autonomia - del pari costituzionale - degli enti territoriali (artt. 5, 117, 118, Cost.) di mantenere la capacita' di operare ogni qualvolta la scelta che ritengono piu' opportuna: cioe' se fruire dei vantaggi economici offerti dal mercato dei produttori oppure se procedere a modellare una propria struttura capace di diversamente configurare l'offerta delle prestazioni di servizio pubblico. Autonomia e relativa capacita' di scelta discrezionale che implicano anche la possibilita' di non voler correre l'avventura ed il conseguente rischio di un affidamento a terzi in un tempo di cattivo mercato economico e finanziario. In tal senso si e' peraltro espresso da tempo l'ordinamento comunitario che ha ritenuto in contrasto con la disciplina europea sulla concorrenza la legge nazionale sui lavori pubblici (allora l. 11 febbraio 1994, n. 109, art. 21) che aveva limitato la scelta tra i due criteri europei d'aggiudicazione degli appalti - offerta economicamente piu' vantaggiosa e prezzo piu' basso - imponendo il vincolo legislativo «alle amministrazioni aggiudicatrici di ricorrere unicamente al criterio del prezzo piu' basso» (Corte di Giustizia Ce, 7 ottobre 2004, in causa C-247/02, Sintesi s.p.a. c. Autorita' per la Vigilanza sui Lavori Pubblici e Ingg. Provera e Carassi S.p.a.). L'ordinamento europeo ha ritenuto che l'imposizione leda la discrezionalita' delle amministrazioni pubbliche, in particolare la possibilita' «di prendere in considerazione la natura e le caratteristiche peculiari di tali appalti, isolatamente considerati, scegliendo per ognuno di essi il criterio piu' idoneo a garantire la libera concorrenza e ad assicurare la selezione della migliore offerta» (Corte di Giustizia Ce, 7 ottobre 2004, in causa C-247/02, cit., § 40), ma ancor prima per l'impossibilita' istituzionale di una disciplina interna differenziata «in termini non espressamente consentiti» dal diritto comunitario (cfr. conclusioni Avv. Gen. Stix-Hackl 1° luglio 2004, in causa C-247/02, § 65). L'indicato orientamento - che trova ragione giuridica nella stessa nozione di mercato unico il quale istituzionalmente comporta una regolazione omogenea sulla concorrenza fra gli Stati membri - e' del pari quello della Corte costituzionale italiana espresso proprio con riferimento alla nozione di «concorrenza» ex art. 117, co. 2, lett. e), Cost. la quale non puo' non riflettere «quella operante in ambito comunitario» con la conseguenza che la normativa interna «si uniforma» a quella comunitaria (Corte cost., 23 novembre 2007, n. 401) di cui costituisce attuazione. E' noto che le norme d'attuazione non esprimono un indirizzo politico proprio dell'organo o soggetto che le pone, ma recepiscono quello altrui che e' inderogabilmente stabilito nelle norme di cui sono appunto l'attuazione, ed in tal senso si e' affermato l'orientamento di codesta Corte costituzionale con riferimento alla potesta' legislativa regionale d'attuazione delle leggi statali (previgente art. 117, ult. co., Cost.; ma vedi anche Statuto Sardegna, art. 5, lett. d); Statuto Friuli-Venezia Giulia, art. 6, n. 3). Si e' chiarito che l'attuazione puo' comportare solo «l'adozione di norme esecutive (secundum legem)», con l'impossibilita' di spingersi sino a norme «integrative (praeter legem), tali cioe' da ampliare, senza derogarli, i contenuti normativi espressi attraverso la legislazione» da attuare (Corte cost., 8 maggio 1990, n. 227) ed a fortiori si soggiunge che «il potere di emanare norme d'attuazione esclude la facolta' di apportare deroghe o modificazioni» (Corte cost., 12 aprile 1990, n. 181, cui adde Id., 16 marzo 1990, n. 122 e 24 ottobre 2001, n. 344). D) L'indicata chiarezza di nozioni assume rilievo nel caso in esame con riferimento al rapporto fra disciplina comunitaria in materia di concorrenza e l'art. 15, d.l. n. 135 del 2009, cit. il quale esprimendo una prevalenza o preferenza per il mercato nell'organizzazione della gestione del servizio pubblico locale risulta in contrasto con l'indirizzo comunitario sulla concorrenza e conseguentemente con l'ambito riservato alla disciplina nazionale la quale non puo' non essere considerata che d'attuazione o ricezione di tale indirizzo europeo (art. 117, co. 2°, lett. e), Cost.). Nessuna delle disposizioni comunitarie vigenti infatti impone - come invece pretende la legge statale in esame (art. 15, d.l. n. 135 del 2009, cit. ) - agli Stati membri l'attribuzione ad imprese terze come forma ordinaria o preferenziale di affidamento dei servizi pubblici locali, relegando ai soli casi d'eccezione il ricorso alla diversa ed alternativa forma dell'in house providing. Al contrario si puo' affermare che la legislazione comunitaria lasci gli Stati membri liberi di decidere se fornire i servizi pubblici con un'organizzazione propria (cosiddetto in house providing) o affidarne la fornitura ad imprese terze. L'art. 15, d.l. n. 135 del 2009, cit. e' disciplina statale che esorbita e dunque non trova fondamento nella riserva costituzionale alla legislazione statale esclusiva della materia «tutela della concorrenza» (art. 117, co. 2°, lett. e), Cost.), quest'ultima intesa come disciplina d'attuazione della normativa comunitaria in materia (art. 117, co. 1°, Cost.). E) La forma di gestione denominata in house providing trova ragione in quell'interpretazione della giurisprudenza comunitaria che ha introdotto un'ulteriore ipotesi di organizzazione a fianco dell'organismo di diritto pubblico, anch'essa sottoposta alla disciplina prevista per lo «Stato e gli enti pubblici territoriali» (artt. 86 e 87, Trattato). Tale forma di gestione e' espressione del potere d'organizzazione delle pubbliche amministrazioni: il legame che unisce l'amministrazione territoriale all'ente in house providing vale ad escludere l'esperimento di procedure ad evidenza pubblica ed a giustificare l'affidamento diretto dei servizi all'organizzazione in house che, pur formalmente esterna rispetto all'amministrazione controllante, e' dall'amministrazione strettamente controllata in ragione del requisito del «controllo analogo» e della destinazione prevalente all'amministrazione controllante dell'attivita' svolta dalla controllata. Per tali due essenziali ragioni l'organizzazione in house e' dalla giurisprudenza comunitaria sottratta alla disciplina della concorrenza nella scelta del gestore (Corte di Giustizia Ce 17 luglio 2008, in causa C-371/05, Commissione Ce c. Repubblica Italiana), proprio perche' questi e' parte dell'organizzazione della controllante, non puo' svolgere attivita' per il mercato in via prevalente, sicche' non puo' essere considerata un'impresa di terzi, dunque non e' mercato. Organizzazione in house che da tempo l'ordinamento italiano assume quale forma di gestione ed affidamento del servizio unitamente a quelle realizzate da societa' scelta con gara e da societa' mista (art. 113, co. 5°, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267). Anche nell'ordinamento interno la nozione di «controllo analogo» e' riferita alla struttura, ai poteri di comando riconosciuti ai soci pubblici, al contesto istituzionale e di mercato in cui gli stessi operano. L'eventuale parcellizzazione delle quote di capitale sociale, pur non impedendo il permanere di un rapporto in house providing tra l'ente affidatario ed i soci affidanti, impone che a questi ultimi siano attribuiti poteri di comando e d'organizzazione idonei a condizionare le scelte del produttore in house con necessita' di verificare (e provare) l'esistenza di poteri analoghi a quelli che gli enti affidanti hanno verso i propri servizi. Resta fermo che il rapporto in house providing giova solo alle amministrazioni aggiudicatrici che partecipino al controllo analogo, mentre ad altri enti pubblici - seppur partecipi al capitale sociale - e' precluso senza gara ogni affidamento all'organizzazione in house. F) Osservata la disciplina sulla concorrenza, l'opzione tra modalita' di gestione del servizio pubblico locale tra esse alternative e' una tipica scelta d'organizzazione, in particolare di buon andamento del servizio pubblico (art. 97, co. 1°, Cost.), che proprio in quanto organizzazione locale e non nazionale dei servizi oggetto della disciplina dell'art. 15, d.l. 135 del 2009, cit., non puo' riconoscersi alla legislazione statale, ma spetta alla legislazione regionale ai sensi dell'art. 117, co. 4°, Cost. seppure nel rispetto di una eventuale specifica disciplina degli enti territoriali minori (art. 117, co. 6°, Cost.), con conseguente illegittimita' costituzionale dell'art. 15, co. 1°, lett. b), d.l. n. 135 del 2009, cit. ove - esprimendo una prevalenza o preferenza ordinaria dell'affidamento ad imprese terze - pone norme sull'organizzazione della gestione dei servizi pubblici locali. E' noto che alle Regioni e' riconosciuta la legittimazione ad impugnare le leggi statali in via diretta non solo a tutela della propria legislazione ma anche con il riferimento alla prospettata lesione da parte della legge nazionale della potesta' normativa degli enti territoriali, con affermazione della Regione come ente di tutela avanti alla Corte costituzionale del «sistema regionale delle autonomie territoriali» (art. 114, co. 2°, Cost.) che e' stato riconosciuto sia in generale (Corte cost., 17 maggio 2007, n. 169, 21 marzo 2007, n. 95, 14 novembre 2005, n. 417, 28 giugno 2004, n. 196), sia con specifico riferimento alla disciplina statale dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica (Corte Cost., 27 luglio 2004, n. 272, § 4). A conferma delle indicate conclusioni vale la sentenza Corte costituzionale 16 novembre 2009, n. 307 che per materia di competenza residuale propria delle Regioni («servizi pubblici locali») ha riconosciuto alle stesse d'affermare nei confronti dello Stato un'unica modalita' d'affidamento e gestione di servizio pubblico locale (in quel caso, gara per l'affidamento del servizio idrico integrato ad impresa terza), sicche' - a maggior ragione - non si potrebbe precludere alle stesse Regioni di mantenere per il proprio territorio l'opzione organizzativa tra modalita' di gestione alternative, comunque conformi all'ordinamento europeo cui sono vincolati lo Stato e le Regioni nell'esercizio delle rispettive competenze legislative (art. 117, co. 1°, Cost.). G) La violazione della competenza degli enti territoriali sull'organizzazione degli stessi anche con riferimento ad enti strumentali controllati da tali enti territoriali o a partecipazioni di minoranza (artt. 5, 114, 117, co. 6°, 118, Cost.) appare ancora piu' odiosa ove si rivela fortemente limitativa della concorrenza la stessa imposizione per la scelta del socio privato di societa' mista di una gara che abbia ad oggetto «al tempo stesso» la qualita' di socio di capitale in misura minima predefinita (almeno «il 40%» del capitale sociale) ma anche specifici compiti operativi (come appalti di servizi a favore dell'istituenda societa' mista). Sono ammessi a partecipare alla gara solo coloro che - imprenditori o raggruppamenti di essi - siano capaci al tempo stesso di offrire una partecipazione finanziaria ed un servizio, lavoro o fornitura alla societa' mista, impedendo in via generale ed astratta ogni diversa articolazione della gara nella scelta di soggetti che intendano partecipare alla societa' mista. La norma viola la competenza d'organizzazione degli enti territoriali escludendo non solo che questi possano rivolgersi al mercato al solo fine di reperire una partecipazione finanziaria alla societa' mista, cioe' un fmanziamento al capitale sociale del gestore che risulti utile alla gestione del servizio stesso, ma anche - con gare separate - di prevedere l'indicata partecipazione finanziaria distinta dalla gara - condotta dalla societa' mista - volta ad ottenere sul mercato i migliori produttori di lavori servizi o forniture, perche' gia' oggetto della gara congiunta imposta dalla norma statale qui impugnata che in violazione dell'art. 117, co. 2°, lett. e, co. 4° e co. 6°, Cost. restringe la platea dei possibili concorrenti alla gara in modo affatto irragionevole (arg. ex art. 3, co. 2°, Cost.). Non si nega qui che la soluzione indicata dalla norma statale impugnata sia talvolta di grande utilita' per gli enti territoriali e che in tal caso la conformita' alla disciplina sulla concorrenza imponga che la procedura di gara deve prevedere sin dall'origine il doppio oggetto o veste (di socio della mista e di appaltatore della mista), ma che con norma generale e astratta si possa imporre un'unica soluzione organizzativa di partenariato pubblico privato (PPP), con scelta irragionevole perche' limitativa della concorrenza tra i produttori, trasformando una soluzione d'eccezione nell'unica possibile. E' noto infatti che la forma della societa' a capitale misto pubblico-privato puo' essere configurata: a) sia come invito a terzi ad acquisire unicamente una partecipazione azionaria nel capitale sociale (partecipazione finanziaria al capitale di rischio), b) oppure la stessa partecipazione a carattere industriale (per cessione o acquisto di know how), c) oppure come invito a partecipare all'aggiudicazione di alcune parti del servizio che vede come corrispettivo una partecipazione azionaria alla societa' mista, eventualmente integrata da un corrispettivo in danaro. H) L'illegittimita' costituzionale per violazione delle indicate norme e principi costituzionali s'afferma anche per l'art. 15, co. 1° ter, d.l. n. 135 del 2009, cit. che per il servizio idrico integrato - con formulazione singolare - richiede affidamenti con «autonomia gestionale del soggetto gestore» ferma restando «la piena ed esclusiva proprieta' pubblica delle risorse idriche» ove s'interpreti la disposizione («autonomia gestionale del soggetto gestore») a conferma della pretesa d'imporre con legge statale alle Regioni ed agli enti locali una prevalenza o preferenza per il mercato anche nell'organizzazione della gestione di tale servizio. I) L'art. 15, d.l. n. 135 del 2009, cit., non puo' trovare la propria fonte di legittimazione nella «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» (art. 117, co. 2°, lett. m), Cost.), perche' occorre ricordare che la stessa disciplina statale (art. 15, d.l. n. 135 del 2009, cit.; art. 23-bis, d.l. n. 112 del 2008, cit.) e' in tutto o in parte sostitutiva dell'art. 113, d.lgs. n. 267 del 2000, cit. (cfr. in particolare art. 23 bis, co. 11°, d.l. n. 112 del 2008, cit.), sicche' e' agevole concludere anche per le disposizioni in esame quanto e' stato riferito alle preesistenti, le quali sono state ritenute estranee alla indicata materia dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali poiche' hanno ad oggetto unicamente le forme di gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica e non le prestazioni che tali forme giuridiche - una volta prescelte - debbono assicurare agli utenti (Corte cost., sent. n. 272 del 2004, cit., § 3). Ne' rileva la potesta' esclusiva statale in materia di «funzioni fondamentali di Comuni, Province e Citta' metropolitane» (art. 117, co. 2°, lett. p) «giacche' la gestione dei predetti servizi non puo' certo considerarsi esplicazione di una funzione propria ed indefettibile dell'ente locale» (Corte cost., sent. n. 272 del 2004, cit., § 3). 2. Violazione dell'art. 117, co. 1°, 2°, 3°, 4; Cost. e degli artt. 3 e 97, Cost.; violazione della competenza legislativa regionale; violazione dei principi costituzionali di autorganizzazione e di buon andamento dell'amministrazione, di autonomia normativa nella disciplina delle funzioni, di ragionevolezza da parte del d.l. 25 settembre 2009, n. 135, art. 15, co. 1°, lett. b, cosi' come conv. dalla l. 20 novembre 2009, n. 166, che sostituisce l'art. 23 bis, 2°, 3° e 4°, d.l. 25 giugno 2008, n. 112, conv. dalla l. 6 agosto 2008, n. 133. A) L'art. 15, co. 1°, lett. b), d.l. n. 135 del 2009, cit. qui oggetto di impugnazione - dopo avere indicato come forma prevalente («in via ordinaria») il solo affidamento del servizio pubblico locale ad imprese terze o a societa' a capitale misto pubblico privato (nuovo art. 23 bis, co. 2°, d.l. n. 112 del 2008, cit.) - ribadisce che la forma di gestione denominata in house providing puo' essere adottata dall'ente locale solo «in deroga alle modalita' di affidamento ordinario di cui al comma 2, per situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato» (nuovo art. 23 bis, co. 3°, d.l. n. 112 del 2008, cit.). Si prevede inoltre che solo in tale ultimo caso «l'ente affidante deve dare adeguata pubblicita' alla scelta, motivandola in base ad un'analisi del mercato e contestualmente trasmettere una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all'Autorita' garante della concorrenza e del mercato per l'espressione di un parere preventivo, da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della predetta relazione» decorso i quali «il parere, se non reso, s'intende espresso in senso favorevole» (nuovo art. 23 bis, co. 4°, d.l. n. 112 del 2008, cit.). Le indicate norme di legge statale che disciplinano l'affidamento del servizio pubblico locale nella forma organizzativa dell'in house providing risultano inoltre lesive della competenza delle Regioni e degli enti locali ove le s'intenda come disciplina ulteriore rispetto a quella generale sul procedimento amministrativo che da tempo prevede il dovere di motivazione degli atti amministrativi (art. 3, l. 7 agosto 1990, n. 241), secondo molti posto in attuazione del principio costituzionale di motivazione delle scelte della amministrazioni pubbliche quanto meno nella cura di pubblici interessi (art. 97, Cost.). Trovandosi infatti la pubblica amministrazione locale a scegliere tra le forme individuate dalla legge come tra esse alternative per l'affidamento della titolarita' della gestione del servizio pubblico locale, non vi e' dubbio che occorra dare una congrua ed esaustiva motivazione sia della scelta di rivolgersi al mercato, cioe' ad un impresa terza (anche per l'acquisto della qualita' di socio di societa' mista) osservando la disciplina sulla concorrenza, sia ove vengano scelti altri strumenti d'organizzazione del servizio pubblico locale ritenuti conformi alla disciplina comunitaria, tra i quali e' noto l'affidamento in house providing. Le disposizioni poste dall'art. 15, co. 1°, lett. b), d.l. n. 135 del 2009, cit. ove intese come in deroga alla disciplina generale sul procedimento e sulla motivazione degli atti amministrativi sono da ritenersi in violazione del principio di ragionevolezza (arg. ex art. 3, co. 2°, Cost.), poiche' non e' ravvisabile nel caso in esame alcun interesse pubblico prevalente capace di fondare sia l'esenzione dal generale dovere di motivazione per l'affidamento ad imprese terze o a societa' mista, sia viceversa la limitazione dei casi sui quali puo' essere portata la motivazione a fondamento di altre soluzioni organizzative, in particolare per l'in house providing. Fuori da tali ipotesi l'art. 15, co. 1°, lett. b), d.l. n. 135 del 2009, cit. si risolve in una serie di disposizioni che limitano i presupposti di affidamento in house della gestione dell'organizzazione dei servizi pubblici «locali» degli enti territoriali, con una cieca preferenza per il mercato, invadendo per cio' la competenza normativa di Regioni ed enti territoriali minori (art. 117, co. 4° e 6°, Cost.) sull'autonoma definizione del buon andamento dell'organizzazione della gestione dei servizi pubblici locali. L'invasione nella sfera di competenza regionale e degli enti territoriali minori e' addirittura enfatizzata dalla precisazione che le indicate disposizioni (art. 23 bis co. 2°, 3°, 4°, d.l. n. 112 del 2008, cit. cosi' come sostituti dall'oggi impugnato art. 15, d.l. n. 135 del 2009, cit.) «prevalgono» su tutte le «discipline di settore con esse incompatibili» (cfr. l'art. 23 bis, co. 1°, d.l. n. 112 del 2008, cit.), dunque su tutte le discipline di settore regionali, in particolare quelle della Regione Piemonte sul servizio idrico integrato (l.r. 13 dicembre 1997, n. 13) e sul sistema integrato di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani (l.r. 24 ottobre 2002, n. 24) che non limitano affatto la scelta tra le forme di gestione dei servizi compatibili con il diritto comunitario. Ne deriva quindi che l'intervento legislativo statale costituisce insanabile lesione della sfera di competenza della Regione Piemonte con illegittimita' costituzionale dell'art. 15, co. l°, lett. b), d.l. n. 135 del 2009, cit. ove preclude alla Regione ogni scelta d'organizzazione su un punto qualificante della disciplina dei servizi pubblici locali (regionali e degli altri enti territoriali), in particolare impedendo alla Regione di stabilire e disciplinare una previa valutazione comparativa da parte dell'amministrazione fra tutte le possibili opzioni per la scelta della forma di gestione. B) Non e' da escludere che dell'art. 15, co. 1°, lett. b), d.l. n. 135 del 2009, cit. si possa offrire un'interpretazione adeguatrice capace di sorreggere una sentenza interpretativa di rigetto della questione di costituzionalita' proposta ove s'intenda che tali disposizioni non deroghino alla disciplina generale sul procedimento amministrativo, dovendo l'amministrazione motivare qualunque scelta della forma di gestione del servizio pubblico locale, attraverso una comparazione tra tutte quelle compatibili con l'ordinamento comunitario ed offrendo infine la giustificazione in concreto della forma prescelta, secondo un'interpretazione che espunge dalle norme qualsiasi preferenza o prevalenza in astratto di una forma di gestione sull'altra. C) Permarrebbe comunque l'illegittimita' costituzionale parziale dell'art. 15, co. 1°, lett. b), d.l. n. 135 del 2009, cit. (ove sostituisce l'art. 23 bis, co. 3 e 4°, d.l. n. 112 del 2008, cit.), per avere il legislatore statale invaso la sfera di competenza normativa della Regione Piemonte e degli enti territoriali piemontesi nella defmizione dello svolgimento delle funzioni loro attribuite (art. 117, co. 4° e 6°, Cost.) poiche' una parte della norma prevede una disciplina particolare del procedimento di affidamento della gestione a soggetti diversi dagli operatori di mercato, tra cui l'in house providing. In particolare l'art. 15, co. 1° lett. b), d.l. n. 135 del 2009, cit., impone una specifica disciplina generale ed astratta dei presupposti di affidamento in house del servizio pubblico locale di rilevanza economica, con il riferimento esclusivo a «situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato» (nuovo co. 3°, art. 23 bis, d.l. n. 112 del 2008, cit.). Dispone inoltre una particolare attivita' istruttoria avente ad oggetto - una specifica «analisi di mercato» su cui offrire una congrua motivazione ed addirittura una specifica «adeguata pubblicita'» (nuovo co. 4°, art. 23 bis, d.l. n. 112 del 2008, cit.). E' infine data ancora una triplice prescrizione, del tutto particolare e specificamente dedicata al procedimento di affidamento della gestione a soggetti diversi dagli operatori di mercato - tra cui l'in house providing. Anzitutto l'invio all'Autorita' garante della concorrenza e del mercato di una «relazione contenente gli esiti dell'intervenuta analisi di mercato», sulla quale deve intervenire un «singolare» parere preventivo dell'Autorita' garante della concorrenza e del mercato, «da rendere «entro sessanta giorni dalla ricezione della predetta relazione» (nuovo art. 23 bis, co. 4°, d.l. n. 112 del 2008, cit.), innovando la disciplina generale sull'attivita' consultiva dell'Autorita' garante dellaconcorrenza e del mercato che prevede unicamente un'attivita' consultiva facoltativa, su richiesta delle amministrazioni o su iniziativa dell'Autorita' stessa (art. 22, l. 10 ottobre 1990, n. 287). Non solo l'art. 15, d.l. n. 135 del 2009, cit. e' viziato d'illegittimita' costituzionale parziale per avere invaso la sfera di competenza normativa della Regione Piemonte e degli enti territoriali piemontesi nella definizione dello svolgimento della funzione d'affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica (art. 117, co. 4° e 6°, Cost.), ma cio' e' avvenuto con norme di dettaglio cosi' puntuali che non sarebbero neppure compatibili per una competenza esclusiva dello Stato (v. infra § n. 3) e in violazione del principio di ragionevolezza (arg. ex art. 3, co. 2, Cost.) poiche' della legge impugnata non si comprendono le ragioni di una disciplina differenziata per l'ambito locale dei pubblici servizi rispetto a quella generalmente prevista per l'Autorita' garante della concorrenza e del mercato ed in genere per le autorita' di regolazione. 3. Violazione dell'art. 117, co. 1°, 2°, 3°, 4°, Cost. con riferimento agli artt. 114, 117, co. 6°, e 118, co. 1° e 2°, Cost.; violazione dell'autonomia costituzionale degli enti territoriali da parte del d.l. 25 settembre 2009, n. 135, art. 15, co. 1°, lett. b, cosi' come conv. dalla l. 20 novembre 2009, n. 166, che sostituisce l'art. 23 bis, 2°, 3° e 4°, d.l. 25 giugno 2008, n. 112, conv. dalla l. 6 agosto 2008, n. 133, nonche' dell'art. 15, co. 1° ter, d.l. n. 135 del 2009, cit. A) Da tempo la Corte costituzionale ha riconosciuto che «le Regioni sono legittimate a denunciare la legge statale per la violazione di competenze degli enti locali» poiche' di per se' tale violazione e' «potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali» (Corte cost. 17 maggio 2007, n. 169, 21 marzo 2007, n. 95, 14 novembre 2005, n. 417, 28 giugno 2004, n. 196; Corte cost., 27 luglio 2004, n. 272, § 4). E' l'autonomia costituzionale propria e dell'intero sistema degli enti locali che la Regione Piemonte intende oggi difendere di fronte ad un nuovo intervento legislativo statale che vorrebbe limitare la capacita' d'organizzazione e di autonoma definizione normativa dello svolgimento delle funzioni di affidamento dei servizi pubblici locali, la stessa autonomia di Regioni, Province, Citta' metropolitane e Comuni (art. 114, Cost.) che e' riconosciuta anche dall'Unione Europea (art. 5, Trattato). Il cosiddetto valore costituzionale o materia trasversale «tutela della concorrenza» presuppone anche per il legislatore nazionale l'esistenza di un mercato quale oggetto di tutela (Corte di Giustizia Ce, 6 aprile 2006, in causa C-410/04, ANAV c. Comune di Bari), definizione di mercato che pero' non raggiunge gli spazi interni dell'organizzazione pubblica (Corte costituzionale, 15 novembre 2004, n. 345; Id., 26 gennaio 2004, n. 36). La scelta delle forme di gestione ed affidamento del servizio pubblico deve informarsi - entro i limiti della disciplina sulla concorrenza - a valutazioni d'efficienza, efficacia ed economicita' che ciascuna organizzazione pubblica non puo' che esprimere con riferimento ai proposti standard di qualita' che intende offrire agli utenti, involgendo percio' questioni di pura autorganizzazione degli enti territoriali, della cui autonomia vi e' diretto fondamento costituzionale (art. 5, 114, 117, co. 4°, 6°, art. 118, Cost.) B) Nel contesto dell'ordinamento italiano e' incostituzionale un'interpretazione dell'ordinamento europeo nel senso di una «concorrenzialita' totale» che ritenga sempre imposto alle Regioni ed agli enti locali l'attribuzione dei propri servizi ad imprese terze e riduca le altre forme e tra queste il cd. in house providing - di derivazione comunitaria - a mera ipotesi d'eccezione in presenza di determinate situazioni da motivare puntualmente (art. 15, co. 1°, lett. b), d.l. n. 135 del 2009, cit. che sostituisce l'art. 23 bis, co. 2°, 3° e 4°, d.l. n. 112 del 2008, cit., nonche' - per il servizio idrico integrato - l'art. 15, co. 1° ter, d.l. n. 135 del 2009, cit.). La disciplina statale qui impugnata (art. 15, co. 1°, lett. b), e co. 1° ter, d.l. n. 135 del 2009, cit.) incide direttamente nella materia di competenza legislativa regionale del buon andamento dell'amministrazione nella gestione dei servizi pubblici locali (art. 117, co. 4°, 6°, art. 118, art. 97, Cost.), ma addirittura perviene a limitare la capacita' d'autorganizzazione della Regione e degli stessi enti territoriali, comprimendo illegittimamente l'autonomia pubblica conferita ad essi dalla Costituzione italiana (artt. 114, 117, 118, co. 1° e 2°, Cost.). La garanzia costituzionale delle Regioni e degli altri enti territoriali (in particolare, Comuni e Province) non puo' tollerare dunque alcun obbligo di legge statale di preferenza verso «l'esternalizzazione» dei servizi pubblici locali, disciplinando direttamente l'organizzazione di quest'ultimi invece che la propria amministrazione pubblica (Corte cost. 16 gennaio 2004, n. 16; Id., 27 luglio 2004, n. 272). La legislazione statale puo' legittimamente imporre una determinata forma di gestione di un servizio pubblico solo procedendo in via preliminare ad avocare allo Stato la competenza sull'organizzazione della gestione dei servizi sinora considerati locali (es. idrico integrato, raccolta dei rifiuti solidi urbani) sul presupposto che l'esercizio unitario di tali servizi sia divenuto ottimale solo a livello d'ambito statale (art. 118, co. 1°, Cost.). La disciplina in esame pertanto e' da ritenersi costituzionalmente illegittima per difetto di tale qualificazione nazionale dei servizi che restando locali per sua espressa qualificazione (cfr. l'art. 15, d.l. n. 135 del 2009, cit., in rubrica, co. 1°, ecc.) segnano la denunciata invasione della sfera di competenza normativa in materia d'organizzazione e svolgimento delle funzioni della Regione Piemonte e degli enti territoriali piemontesi, poiche' nega illegittimamente l'autonomia costituzionale di tali enti nel suo nucleo imprescindibile della capacita' di darsi un'organizzazione idonea a soddisfare i bisogni sociali del suo territorio, cioe' della popolazione residente che ne e' l'elemento costitutivo, ed in particolare per la Regione Piemonte si evidenzia la diretta lesione della propria potesta' legislativa residuale (art. 117, co. 4°, Cost.) in materia di buon andamento dell'organizzazione dei servizi pubblici locali (regionali e degli altri enti territoriali) ove e' precluso alla Regione ogni spazio di regolazione in ordine alla scelta - preliminare e fondamentale - se rivolgersi al mercato (imprese terze) oppure a cio' che mercato non e' (in house providing). 4. Violazione dell'art. 117, co. 2°, Cost. con riferimento all'art. 3, Cost.; difetto comunque di proporzionalita' ed adeguatezza della disciplina statale ove la stessa sia ritenuta a tutela della concorrenza da parte del d.l. 25 settembre 2009, n. 135, art. 15, co. 1°, lett. b), cosi' come conv. dalla l. 20 novembre 2009, n. 166, che sostituisce l'art. 23 bis, 2°, 3° e 4°, d.l. 25 giugno 2008, n. 112, conv. dalla l. 6 agosto 2008, n. 133. A) La Corte costituzionale ha riconosciuto che solo le disposizioni di legge statale a «carattere generale che disciplinano le modalita' di gestione e l'affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica» (in specie art. 113, d.lgs. n. 267 del 2000, cit.) trovano il proprio «titolo di legittimazione» nell'art. 117, co. 2°, lett. e), Cost. («tutela della concorrenza») e «solo le predette disposizioni non possono essere derogate da norme regionali» (Corte costituzionale, sent. n. 272 del 2004, cit.). La Corte ha sottoposto tali disposizioni di legge statale a scrutinio in ragione del criterio di proporzionalita' ed adeguatezza che e' «essenziale per definire l'ambito di operativita' della competenza legislativa statale attinente alla «tutela della concorrenza» e conseguentemente la legittimita' dei relativi interventi statali» poiche' tale materia «trasversale» «si intreccia inestricabilmente con una pluralita' di altri interessi - alcuni dei quali rientranti nella sfera di competenza concorrente o residuale delle Regioni - connessi allo sviluppo economico-produttivo del Paese» (Corte costituzionale, sent. n. 272 del 2004, cit. cui adde Id., sent. n. 401 del 2007, cit.). Scrutinio all'esito del quale la Corte costituzionale ha annullato l'art. 113, co. 7°, d.lgs. n. 267 del 2000, cit. ove definiva i criteri di aggiudicazione della gara per l'affidamento di servizi pubblici locali di rilevanza economica con disposizione «dettagliata ed autoapplicativa», «integrativa delle discipline settoriali di fonte regionale» la quale realizzava «una illegittima compressione dell'autonomia regionale» in quanto l'intervento legislativo statale risultava «ingiustificato e non proporzionato rispetto all'obbiettivo della tutela della concorrenza» (Corte costituzionale, sent. n. 272 del 2004, cit.). Il legislatore statale all'art. 113, co. 7°, d.lgs. n. 267 del 2000, cit., poi dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale, autoqualificava le proprie disposizioni come «integrative delle discipline di settore», a fortiori il ragionamento d'illegittimita' puo' essere esteso alla legge statale qui impugnata (d.l. n. 135 del 2009, cit. art. 15, co. 1°, lett. b) poiche' - essendo confermata la «prevalenza» delle indicate disposizioni statali sulle leggi regionali (cfr. l'immutato art. 23 bis, co. 1°, secondo periodo, d.l. n. 112 del 2008, cit.) - configura molto piu' di una «integrazione» trattandosi di vera e propria sostituzione della disciplina preesistente settoriale di fonte regionale o locale. A maggior ragione, dunque, le disposizioni della legge statale in esame (art. 15, co. 1°, lett. b), d.l. n. 135 del 2009, cit. che sostituisce l'art. 23 bis, co. 2°, 3° e 4°, d.l. n. 112 del 2008, cit.) ledono l'autonomia regionale o degli enti territoriali piemontesi ove si ritenga che esse costituiscano esercizio di potesta' esclusiva statale in materia di «tutela della concorrenza» (art. 117, co. 2°, lett. e, Cost.), con conseguente loro illegittimita' costituzionale. Occorre infatti riconoscere che il d.l. n. 135 del 2009, cit., art. 15, co. 1°, lett. b), pone una disciplina immediatamente autoapplicativa ove senz'altro pone un criterio o principio di preferenza nell'attribuzione ad imprese terze dei servizi pubblici locali poiche' la qualifica senz'altro come forma «ordinaria» (nuovo art. 23 bis, co. 2° e 3°, d.l. n. 112 del 2008, cit.) e riduce le altre soluzioni organizzative compatibili con l'ordinamento comunitario - in particolare l'in house providing - a mere eccezioni determinando puntualmente e tassativamente le «situazioni eccezionali» che sole possono giustificare tale forma di gestione: «peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento che non permettono un efficace e utile ricorso al mercato» (nuovo art. 23 bis, co. 3°, d.l. n. 112 del 2008, cit.). Elencazione minuziosa che tuttavia non contempla le ragioni d'organizzazione che possono assumere interesse per l'affidamento di un determinato servizio pubblico locale, sicuramente per il servizio idrico integrato ove i diversi segmenti di acquedotto, fognatura e depurazione debbono essere riuniti in ciclo completo delle acque secondo la ratio della disciplina di settore (prima l. 5 gennaio 1994, n. 36, poi d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152) che da tempo impone il superamento della frammentazione per segmenti e per territorio nell'erogazione del servizio, ai fini del raggiungimento di una gestione del servizio idrico integrato che sia capace di riunire in dimensioni sovracomunali il ciclo delle acque. Proprio le ragioni organizzative (riunificazione del ciclo completo delle acque in capo ad unico gestore) - fra le altre - hanno reso necessario l'affidamento del servizio idrico integrato ad organizzazioni in house providing nel territorio della Regione Piemonte (cfr. deliberazioni Autorita' d'Ambito n. 3 «Torinese» 27 maggio 2004, n. 173 e 13 dicembre 2007 n. 296, con cui si e' affidato alla societa' a capitale interamente pubblico SMAT s.p.a. - ai sensi dell'art. 113, co. 5°, lett. c), d.lgs. n. 267 del 2000, cit. - la titolarita' della gestione del servizio idrico integrato per la totalita' dell'ambito territoriale ottimale n. 3 «Torinese»). 5. Violazione dell'art. 5, art. 23, art. 42, art. 114, art. 117, co. 2° e 6°, art. 118, Cost. anche con riferimento all'art. 3, Cost. da parte del d.l. 25 settembre 2009, n. 135, art. 15, co. 1°, lett. d, cosi' come conv. dalla l. 20 novembre 2009, n. 166, che sostituisce l'art. 23 bis, co. 8°, d.l. 25 giugno 2008, n. 112, conv. dalla l. 6 agosto 2008, n. 133. A) Le «gestioni in essere alla data del 22 agosto 2008 affidate conformemente ai principi comunitari in materia di cosiddetta «in house» cessano, improrogabilmente e senza necessita' di deliberazione da parte dell'ente affidante, alla data del 31 dicembre 2011», con possibilita' di proseguire sino «alla scadenza prevista dal contratto di servizio» purche' «entro il 31 dicembre 2011 le amministrazioni cedano almeno il 40 per cento del capitale attraverso le modalita' di cui alla lettera b) del comma 2», cioe' con una gara che abbia ad oggetto, al tempo stesso, la qualita' di socio e l'attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio (art. 15, co. 1°, lett. d), d.l. n. 135 del 2009, cit., che cosi' sostituisce l'art. 23 bis, co. 8°, lett. a, d.l. n. 112 del 2008, cit.). Tale disposizione transitoria viola l'autonomia costituzionale della Regione Piemonte e degli enti locali (artt. 5, 114, 117, co. 6°, 118, Cost.) ove dispone senz'altro e senza indennizzo alcuno (artt. 23 e 42, Cost.) del patrimonio legittimamente realizzato o acquisito dagli enti stessi con l'affidamento a societa' a totale capitale pubblicoin house providing della gestione di servizi pubblici locali, in conformita' sia all'ordinamento comunitario sia a quello interno (ex art. 113, co. 5°, lett. c, d.lgs. n. 267 del 2000, cit.). La lesione s'afferma in ragione di una generalizzata cessazione anticipata al 31 dicembre 2011 disposta ex lege per tutti gli affidamenti in house providing, anche di quelli effettuati dagli enti territoriali in conformita' all'ordinamento comunitario e italiano, con grave svalutazione dei valori di mercato dei corrispettivi di cessione delle partecipazioni a causa della simultanea attuazione su tutto il territorio nazionale dell'alienazione del 40% di un numero rilevante di societa' in mano agli enti locali, che - unitamente agli affidamenti illegittimi - per il solo servizio idrico integrato ammontano a circa n. 60 complessi aziendali, di cui alcuni con valorizzazioni patrimoniali di notevole consistenza (Torino, Milano, Bologna, le Regioni Puglia e Sardegna, ecc.). La disposizione e' ancor piu' lesiva della competenza degli enti territoriali ove della stessa non siriesca ad individuare alcun significato ragionevole, poiche' - per la prima volta in modo inequivoco (art. 35, l. 28 dicembre 2000, n. 448; art. 14, co. 1°, d.l. n. 269 del 2003; art. 15, d.l. n. 223 del 2006; art. 23 bis, co. 8°, di. n. 112 del 2008, cit.; art. 113, c. 15° bis, d.lgs. n. 267 del 2000, cit.) - non solo dispone la cessazione degli affidamenti in house providing illegittimi ma anche di quelli legittimi (differenziando la sola scadenza ex lege di un anno: 31 dicembre 2010 - 31 dicembre 2011), non solo tratta allo stesso modo gestioni da poco iniziate (meno di due anni) con quelle pluridecennali, ma non si e' affatto curata di «scaglionare» nel tempo il preferito ricorso al mercato con grave svalutazione dell'indicata consistenza patrimoniale. Non ha avuto mai il conforto della giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunita' Europee, ne' di codesta Corte costituzionale il dubbio che l'art. 22, co. 3°, lett. e), l. 8 giugno 1990, n. 142, oppure il successivo art. 113, co. 5°, lett. c, d.lgs. n. 267 del 2000, cit. dedicati alle societa' in house providing potessero essere in contrasto con l'ordinamento comunitario o interno sulla concorrenza, con conseguente irragionevolezza dell'anticipata cessazione di quelli conformi a tale disciplina al pari degli affidamenti illegittimi, siano essi quelli che non rispettano i caratteri essenziali dell'in house providing («controllo analogo sulla societa'» ed «attivita' prevalente a favore dei controllanti»), siano essi quelli effettuati a terzi in difformita' dalla disciplina sulla concorrenza. C) Ancor piu' la disposizione - abrogando la disciplina preesistente che disponeva la cessazione al 31 dicembre 2006 e per il solo servizio idrico al 31 dicembre 2007 di tutti gli affidamenti difformi dalla disciplina italiana ed europea sulla concorrenza - ha statuito di ulteriormente prorogare per quattro o tre anni tali illegittimi affidamenti (che «cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2010, senza necessita' di apposita deliberazione dell'ente affidante»: nuovo art. 23 bis, co. 8°, lett. e, d.l. n. 112 del 2008, cit., cosi' come sostituito dall'art. 15, co. 1°, lett. d, d.l. n. 135 del 2009, cit.) La disposizione e' ancor piu' lesiva della competenza degli enti territoriali ove della stessa non si riesce ad individuare alcun significato ragionevole, perche' realizza una sanatoria ex lege di affidamenti illegittimi lesivi della concorrenza che la stessa legge qui impugnata proclama di voler riaffermare, anche di quelli piu' eclatanti in difetto di ogni evidenza pubblica, ivi compresi quelli gia' oggetto di una sentenza di annullamento non ancora passata in giudicato, persino ove sia stata incidentalmente contornata da una pronuncia in tal senso della Corte di Giustizia delle Comunita' Europee. Disposizione ancora piu' singolare ove si pensi che l'ennesima norma di favore per gli affidamenti disposti in violazione proprio della disciplina italiana ed europea sulla concorrenza (d.l. n. 135 del 2009, cit., art. 15, co. 1°, lett. d), segue a disposizioni (anch'esse qui impugnate) che dichiarano apertamente l'affermazione di un indirizzo politico di «ultra concorrenzialita'» (d.l. n. 135 del 2009, cit., art. 15, co. 1°, lett. b). 6. Violazione dell'art. 5, art. 114, art. 117, co. 2° e 6°, art. 118, Cost. anche con riferimento all'art. 3, Cost. da parte del d.1.25 settembre 2009, n. 135, art. 15, co. 1°, lett. d, cosi' come conv. dalla l. 20 novembre 2009, n. 166, che sostituisce l'art. 23 bis, co. 8°, d.l. 25 giugno 2008, n. 112, conv. dalla l. 6 agosto 2008, n. 133. «Le gestioni affidate direttamente a societa' a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a) del comma 2, le quali non abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualita' di socio e l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio, cessano, improrogabilmente e senza necessita' di apposita deliberazione dell'ente affidante, alla data del 31 dicembre 2011» (art. 15, co. 1°, lett. d, d.l. n. 135 del 2009, cit. che introduce il nuovo art. 23 bis, co. 8°, lett. b, d.l. n. 112 del 2008, cit.). Tale disposizione transitoria cancella d'un tratto la legittimita' secondo il diritto nazionale di tutte le gestioni di servizio pubblico in capo a societa' mista ove la gara per la scelta del socio privato - pure avvenuta con procedura conforme all'ordinamento europeo ed italiano - abbia avuto ad oggetto unicamente la partecipazione finanziaria, con acquisto di quote di capitale, eventualmente accompagnate da patti parasociali allegati ai bandi gara per l'individuazione di taluni amministratori in accordo con il socio pubblico, non importa ora se minoritario o prevalente. La violazione della competenza degli enti territoriali sull'organizzazione degli stessi anche con riferimento ad enti strumentali controllati da tali enti territoriali o a partecipazioni di minoranza (artt. 5, 114, 117, co. 6°, 118, Cost.) appare ancora piu' odiosa ove determina una svalutazione del patrimonio degli enti stessi imponendo con norma transitoria l'impossibilita' di proseguire comunque tali gestioni, fermo restando la possibilita' di una nuova gara ma con il vincolo della partecipazione di terzi che si vuole necessariamente congiunta allo svolgimento di specifici compiti operativi.